Quando i reparti non si parlano. Come il dialogo può prevenire gli errori medici e migliorare l’esperienza del paziente

1.    La testimonianza del primario di medicina interna…

Una mattina come tante nel mio reparto di Medicina Interna, finché non ho visto arrivare il signor Bianchi, 78 anni, accompagnato dalla figlia in lacrime. Erano stati in Pronto Soccorso la sera prima per un episodio di fibrillazione atriale. Dopo la stabilizzazione, il paziente era stato dimesso con la prescrizione di un nuovo anticoagulante. Quello che il Pronto Soccorso non sapeva – e che avrebbe dovuto sapere – era che il signor Bianchi era in follow-up presso il nostro ambulatorio di Gastroenterologia per un sanguinamento digestivo recente.

Mi sono seduto alla scrivania, cercando di mantenere la calma mentre sfogliavo la documentazione. Il sistema informatico mostrava chiaramente tutti gli accessi del paziente, le visite specialistiche, gli esami. Eppure, in qualche modo, queste informazioni non erano state colte. Non era la prima volta che mi trovavo di fronte a situazioni simili, ma questa volta ho deciso di annotare ogni dettaglio.

Nel corso degli anni ho visto troppi casi simili: pazienti oncologici a cui vengono prescritti farmaci che interferiscono con la chemioterapia, diabetici che ricevono protocolli di cura senza considerare la loro condizione di base, anziani con prescrizioni multiple da diversi specialisti senza che nessuno abbia una visione d’insieme della terapia.

“Sa dottore,” mi ha detto la figlia del signor Bianchi, “mi sembra di dover ricominciare da capo ogni volta che incontriamo un nuovo medico. Come se la storia di mio padre si frammentasse in tanti piccoli pezzi, e ognuno ne vedesse solo uno.”

Le sue parole hanno fotografato perfettamente il problema che affronto ogni giorno. Siamo diventati eccellenti specialisti nei nostri settori, ma abbiamo perso la capacità di comunicare tra reparti. I nostri sistemi informatici sono sempre più sofisticati, eppure l’informazione non fluisce come dovrebbe. È come se parlassimo lingue diverse, chiusi nelle nostre specialità.

Ricordo quando, agli inizi della mia carriera, ci si fermava a pranzo nella mensa ospedaliera e si discuteva dei casi più complessi con i colleghi di altri reparti. Oggi quelle conversazioni informali ma preziose sono sempre più rare. Le riunioni multidisciplinari, quando ci sono, sembrano più un obbligo burocratico che un reale momento di confronto.

Ho provato più volte a proporre soluzioni: briefing quotidiani tra reparti, cartelle cliniche condivise con alert automatici, un sistema di messaggistica interno per consulenze rapide. Ma ogni tentativo si scontra con la routine consolidata, la mancanza di tempo, le resistenze al cambiamento.

Quella mattina, dopo aver modificato la terapia del signor Bianchi, ho scritto una lunga email alla direzione sanitaria. Ho descritto nel dettaglio non solo questo caso, ma tutti gli eventi simili degli ultimi mesi. Ho allegato studi che dimostrano come la comunicazione inefficace tra reparti aumenti il rischio di errori medici e prolunghi le degenze. Ho proposto un progetto pilota di integrazione comunicativa, partendo dai reparti con maggiori interazioni.

Mentre scrivevo, ripensavo alle parole della figlia del signor Bianchi. Non possiamo continuare a vedere solo frammenti della storia dei nostri pazienti. È ora di ricomporre il puzzle, di ritrovare un linguaggio comune. Non è solo una questione di efficienza: è il nostro dovere nei confronti di chi si affida a noi.

2.    Introduzione

Un ospedale è come una grande orchestra, dove ogni musicista deve essere perfettamente sincronizzato con gli altri per creare una melodia armoniosa. Allo stesso modo, la comunicazione tra il personale ospedaliero di pari livello (detta “orizzontale”) è fondamentale per garantire cure efficaci e sicure ai pazienti. Oggi negli ospedali questa comunicazione avviene in tanti modi diversi: dai tradizionali scambi di informazioni tra medici dello stesso reparto alle moderne cartelle cliniche digitali condivise, fino alle app di messaggistica dedicata. È come avere diversi canali attraverso cui le informazioni possono fluire liberamente tra colleghi. Per far funzionare bene questo sistema, servono delle “regole del gioco” chiare: procedure standardizzate ma abbastanza flessibili da adattarsi alle diverse situazioni che si possono presentare. La formazione continua è cruciale: il personale deve imparare non solo a usare gli strumenti tecnologici, ma anche a comunicare in modo chiaro ed efficace, specialmente nelle situazioni di emergenza. Quando questo sistema funziona bene, i benefici sono evidenti: informazioni importanti vengono condivise rapidamente, le emergenze vengono gestite meglio e si crea un ambiente di lavoro più collaborativo. Per mantenere alto il livello, è importante analizzare regolarmente cosa funziona e cosa no. Si studiano anche i “quasi incidenti” (near-miss)[1] e – quelle situazioni in cui un errore è stato evitato per un soffio – per imparare e migliorare. Per esempio, quando un infermiere si accorge in tempo che un paziente è allergico a un farmaco appena prescritto, quest’esperienza diventa un’opportunità per rafforzare i protocolli di comunicazione.

3.    Sfide nella comunicazione interdipartimentale

In questo paragrafo, ci occupiamo dell’analisi di uno studio condotto nel 2017 sulla comunicazione nei trasferimenti interospedalieri di pazienti chirurgici d’emergenza. La ricerca, che ha esaminato 129 casi presso l’University of Wisconsin, ha rivelato significative carenze nella documentazione medica, con oltre il 40% dei casi privi di informazioni essenziali. Lo studio suggerisce la necessità di protocolli standardizzati per migliorare la sicurezza e l’efficacia dei trasferimenti.

Il modello organizzativo di molti ospedali si basa su gerarchie verticali che ostacolano l’interazione orizzontale. Ciò può portare a informazioni incomplete durante i trasferimenti di pazienti, ambiguità sulle responsabilità e decisioni cliniche ritardate. In un importante articolo scientifico, pubblicato nel 2017 nel The Journal of Surgical Research[2], si esamina la comunicazione scritta durante i trasferimenti interospedalieri di pazienti chirurgici d’emergenza. La ricerca esamina in modo critico la qualità e completezza della documentazione fornita durante questi trasferimenti. Lo studio ha analizzato retrospettivamente 129 casi di trasferimenti presso il Dipartimento di Emergenza dell’University of Wisconsin, un centro di riferimento terziario da 505 posti letto. I risultati rivelano criticità significative nella comunicazione: nel 42,5% dei casi mancava l’anamnesi e l’esame obiettivo del medico del pronto soccorso, mentre nel 9,7% dei casi era assente la diagnosi. Come notano gli autori, «Poor communication leads to fragmentation of care and places patients at risk for adverse outcomes». Particolarmente preoccupante è risultata la gestione dei referti radiologici: «Of the 70 CT scans for which radiology reads were present, final radiology reads were absent for 70.0% (n=49) of the scans». Inoltre, la documentazione presentava spesso informazioni duplicate o non pertinenti, con il 68,1% delle cartelle contenenti dati ripetuti. Gli autori dello studio hanno sviluppato un sistema di valutazione basato su punteggi di completezza ed efficienza. Il punteggio di completezza, su una scala da 0 a 4, considerava la presenza di elementi essenziali come anamnesi/esame obiettivo, note cliniche, diagnosi e motivo del trasferimento. L’efficienza veniva calcolata come rapporto tra pagine con informazioni utili e totale delle pagine. È interessante notare che «Only two charts out of the 113 that included referring facility documentation had a completeness score of four and an efficiency score of 100%». Le conclusioni dello studio sottolineano come la natura «event-driven, time-pressured, and resource-constrained» dell’ambiente sanitario renda ancora più cruciale una comunicazione efficace. Gli autori suggeriscono che questa ricerca possa fornire le basi per lo sviluppo di protocolli standardizzati per migliorare la comunicazione nei trasferimenti interospedalieri di pazienti chirurgici d’emergenza. Lo studio offre una prospettiva importante per i professionisti sanitari, evidenziando la necessità di migliorare i processi di comunicazione scritta per garantire trasferimenti più sicuri ed efficaci. La standardizzazione della documentazione rappresenta una potenziale soluzione per ridurre le omissioni di informazioni critiche e migliorare la qualità dell’assistenza.

4.    Dialogo strutturato come soluzione

In questo paragrafo, ci occupiamo dell’implementazione e dell’efficacia del programma I-PASS, un protocollo standardizzato per migliorare la comunicazione durante il passaggio di consegne tra medici. Uno studio multicentrico, condotto in nove ospedali pediatrici e pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha analizzato 10.740 ricoveri, dimostrando una riduzione del 23% negli errori medici e del 30% negli eventi avversi prevenibili dopo l’introduzione del protocollo. Il programma, strutturato in cinque passi (gravità della malattia, riassunto della situazione, azioni da compiere, scenari possibili e sintesi), ha migliorato significativamente la qualità della comunicazione senza impattare negativamente sul tempo dedicato ai pazienti. I risultati supportano l’importanza di implementare protocolli standardizzati per il passaggio di consegne nel migliorare la sicurezza dei pazienti e la qualità delle cure.

Un sistema di comunicazione orizzontale mira a standardizzare e migliorare lo scambio di informazioni tra i reparti. L’implementazione di protocolli di handoff standardizzati, come il modello SBAR (Situation, Background, Assessment, Recommendation), ha dimostrato di ridurre significativamente gli errori medici, migliorando sia la sicurezza dei pazienti che l’efficienza del personale sanitario (Starmer et al., 2014).

In un importante studio pubblicato sul New England Journal of Medicine[3] sono presentati i risultati di un’implementazione multicentrica del programma I-PASS, un intervento strutturato per migliorare la comunicazione durante il passaggio di consegne tra medici.

Come si struttura il programma I-PASS? Immaginate di essere un medico alla fine del vostro turno. Dovete passare le informazioni sui pazienti al collega che vi sostituirà. Come essere sicuri di non dimenticare nulla di importante? È qui che entra in gioco I-PASS, un metodo rivoluzionario che ha reso questo passaggio di consegne più sicuro ed efficace. I-PASS è come una lista di controllo in cinque passi:

1. Iniziate valutando la gravità della malattia (Illness severity): “Il paziente è stabile o richiede attenzione particolare?”

2. Proseguite con un riassunto della situazione (Patient summary): “Ecco perché è ricoverato e cosa è successo finora.”

3. Elencate le azioni da compiere (Action list): “Queste sono le cose da fare nelle prossime ore.”

4. Descrivete gli scenari possibili (Situation awareness): “Se succede questo, ecco come comportarsi.”

5. Infine, chi riceve le informazioni le riassume (Synthesis): “Ho capito bene che devo fare questo e questo?”

Sembra semplice, vero? Eppure questo metodo ha ridotto gli errori medici del 23% negli ospedali che lo hanno adottato. È la prova che a volte le soluzioni più efficaci sono anche le più lineari. È proprio così: la ricerca, condotta in nove ospedali pediatrici, ha dimostrato una significativa riduzione degli errori medici e degli eventi avversi prevenibili.

Lo studio ha analizzato 10.740 ricoveri ospedalieri, confrontando i periodi pre e post-intervento. Come riportano gli autori, «the medical-error rate decreased by 23% from the preintervention period to the postintervention period (24.5 vs. 18.8 per 100 admissions, P<0.001), and the rate of preventable adverse events decreased by 30% (4.7 vs. 3.3 events per 100 admissions, P<0.001)». Particolarmente rilevante è stato il fatto che il tasso di eventi avversi non prevenibili non ha subito variazioni significative, confermando l’efficacia specifica dell’intervento. In pratica, immaginiamo di analizzare i dati di un reparto ospedaliero che registra 100 ricoveri in un determinato periodo. Prima dell’introduzione del protocollo I-PASS, questo reparto documentava circa 25 errori medici ogni 100 ricoveri, equivalenti a un errore ogni quattro pazienti. In seguito all’implementazione del nuovo sistema di comunicazione, il numero di errori è diminuito significativamente, arrivando a circa 19 errori ogni 100 ricoveri, ovvero un errore ogni cinque o sei pazienti. Ancora più significativo è stato l’impatto sugli eventi avversi prevenibili, cioè quelle situazioni in cui l’errore ha effettivamente causato un danno al paziente. Questi sono passati da quasi 5 eventi ogni 100 ricoveri (uno ogni 21 pazienti) a poco più di 3 eventi (uno ogni 30 pazienti). Per validare l’efficacia dell’intervento, i ricercatori hanno monitorato anche gli eventi avversi non prevenibili, ovvero quelle complicanze che si verificano indipendentemente dalla qualità dell’assistenza fornita, come effetti collaterali inevitabili di un trattamento o complicanze naturali della malattia. Come previsto, questi eventi sono rimasti sostanzialmente stabili, passando da 3,0 a 2,8 casi ogni 100 ricoveri.

Questa stabilità degli eventi non prevenibili rappresenta un importante elemento di validazione scientifica, poiché dimostra che la riduzione osservata negli errori e negli eventi avversi prevenibili è effettivamente attribuibile al miglioramento della comunicazione introdotto dal protocollo I-PASS, e non a altri fattori che avrebbero influenzato indistintamente tutti gli indicatori. Il programma I-PASS ha incluso diversi elementi: uno di tipo mnemonico standardizzato per le consegne orali e scritte, workshop formativi, sessioni di simulazione, moduli didattici computerizzati, sviluppo delle competenze dei docenti e una campagna per garantire sostenibilità. L’implementazione ha portato a «significant improvements in the inclusion of all nine written handoff elements evaluated and all five oral handoff elements evaluated».

Un aspetto cruciale emerso dallo studio è che questi miglioramenti sono stati ottenuti senza impattare negativamente sui tempi dedicati alle consegne o sul contatto diretto con i pazienti. Come notano gli autori, «there was no significant change in the percentage of time in a 24-hour period spent in contact with patients and families (before and after the intervention, 11.8% and 12.5%, respectively; P=0.41)». In pratica, in un tipico turno di 24 ore, prima dell’introduzione del protocollo I-PASS, un medico dedicava circa 2 ore e 50 minuti (11,8% di 24 ore) all’interazione diretta con pazienti e famiglie. Dopo l’implementazione del nuovo sistema, questo tempo è leggermente aumentato a 3 ore (12,5% di 24 ore), sebbene la differenza non sia statisticamente significativa. Questo significa che l’introduzione del nuovo protocollo di comunicazione, nonostante la sua struttura più articolata e formale, non ha sottratto tempo prezioso al rapporto diretto medico-paziente, che anzi ha mostrato una tendenza all’incremento. È un risultato particolarmente importante perché dimostra come sia possibile migliorare la sicurezza e la qualità dell’assistenza attraverso una comunicazione più strutturata, senza compromettere – e anzi potenzialmente migliorando – l’aspetto umano e relazionale della cura.

Lo studio fornisce evidenze robuste a supporto dell’implementazione di protocolli standardizzati per il passaggio di consegne. Come concludono gli autori, «Implementation of the handoff program was associated with reductions in medical errors and in preventable adverse events and with improvements in communication, without a negative effect on workflow». Questi risultati hanno importanti implicazioni per la sicurezza dei pazienti e la qualità delle cure, supportando le raccomandazioni di vari organismi professionali e federali per il miglioramento dei processi di handoff.

5.    Conclusioni

La sfida della comunicazione interdipartimentale non è solo un problema tecnico o organizzativo: è una questione di responsabilità professionale ed etica nei confronti dei pazienti. Come ha evidenziato la figlia del signor Bianchi nella testimonianza iniziale, ogni paziente è una storia complessa che non può essere frammentata. La ricerca scientifica ci dimostra che abbiamo gli strumenti per migliorare – il protocollo I-PASS ne è un esempio concreto – e che questi strumenti funzionano, riducendo significativamente gli errori e gli eventi avversi. Il vero ostacolo non è tecnologico o metodologico, ma culturale: dobbiamo superare le barriere invisibili che separano i reparti, ricostruendo quel tessuto di comunicazione informale che un tempo caratterizzava la vita ospedaliera. Solo attraverso un impegno collettivo verso una comunicazione più strutturata, efficace e umana potremo garantire ai nostri pazienti non solo cure più sicure, ma anche un’esperienza di cura più integrata e rispettosa della loro complessità. Il cambiamento è possibile: sta a noi decidere se esserne protagonisti attivi o spettatori passivi.


[1] Il termine “near-miss” (o “quasi evento”) si riferisce a un errore o una situazione potenzialmente rischiosa che avrebbe potuto causare un danno al paziente ma che, per fortuna o grazie a un intervento tempestivo, non ha avuto conseguenze negative. È come un “incidente mancato” che, se analizzato attentamente, può fornire preziose informazioni per prevenire futuri eventi avversi reali. Per esempio, in ambito di comunicazione interdipartimentale, un near-miss potrebbe verificarsi quando un medico prescrive un farmaco senza essere a conoscenza di un’allergia del paziente, ma l’errore viene intercettato dall’infermiere prima della somministrazione. Oppure quando una diagnosi importante non viene comunicata tempestivamente tra reparti, ma il ritardo non causa danni grazie a altri fattori contingenti.

[2] Harl, F. N. R., Saucke, M. C., Greenberg, C., & Ingraham, A. (2017). Assessing written communication during interhospital transfers of emergency general surgery patients. The Journal of Surgical Research, 214, 86-92.

[3] Starmer, A. J., Spector, N. D., Srivastava, R., et al. (2014). Changes in medical errors after implementation of a handoff program. The New England Journal of Medicine, 371, 1803-1812.

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