
“Il Signore guardò con favore Abele e la sua offerta, ma non prestò attenzione a Caino e alla sua offerta. Caino si irritò e rimase col volto abbattuto. Il Signore disse: “Perché ti sei abbattuto? Perché sei tanto scuro in volto?” (Gn 4, 1-6).
Il volto abbattuto è la manifestazione esteriore che colpisce Caino nel momento in cui ritiene di non poter più sostare nei pressi della indeterminazione costituita dalla inaccessibilità del volere divino.
Dio preferirà le offerte di Abele ed, in seguito a questa scelta, lo sguardo di Caino si trasforma. Quel cambiamento non andrebbe letto nel senso di un abbattimento psicologico, una sorta di implosione. I rabbini (Bereyit Rabba) osservano che la sua faccia “divenne come il fuoco”. Caino era furente per non essere stato in grado di possedere nelle sue mani l’azione e la volontà di Dio. Di fronte all’incertezza, egli decide di non dare tempo al tempo, di non ascoltare l’Altro, ma di agire, agire comunque. Agire sempre. E così per Abele si compie quanto era inscritto nel suo nome che deriva da “hebel” che in ebraico significa istante fuggitivo: Abele non potrà parlare mai più.
Caino pone se stesso al centro dell’esistente. Così, pre-sumendo, giunge ad anticipare la realtà, reifica l’altro, il fratello. Lo uccide.
Quel gesto, tuttavia, va ben oltre l’uccisione materiale. Finché viene confinato in un brano biblico, è solo una vicenda che rinvia a tempi lontanissimi e mitici. Tuttavia, se ci sforziamo di assumere la vicenda del volto abbattuto in termini metaforici, allora essa investe qualcosa di molto più vasto. Ogni volta in cui noi non diamo spazio all’altro, ogni volta in cui non prestiamo ascolto, ogni volta in cui siamo pronti ad introiettare l’altro, noi ci stiamo comportando come Caino.