Quel presepio dentro di noi

«Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14).

Il Vangelo di questo Natale invita a riflettere sul significato profondo dell’evento della nascita di Gesù, proponendo il celebre prologo di Giovanni. Si tratta, com’è noto, di un testo di non immediato accesso che, anche per questo, non smette di convocarci per parlare al cuore di ciascun credente, disposto a cogliere il mistero di quella nascita che è, insieme, umana e divina.

Indubitabilmente esiste un rischio insito nella teatralizzazione della nascita di Cristo. Senza accorgercene, coinvolti nella spettacolarizzazione o imbevuti nelle logiche del consumismo, ci trasformiamo da possibili partecipanti in spettatori. La differenza è sottile. Nel primo caso, parliamo di implicazione e coinvolgimento; nel secondo, di godimento a distanza.

Raffigurazione di Meister Eckhart di Andrea di Bonaiuto, particolare dell’affresco Via Veritas nella Cappella Spagnola di Santa Maria Novella, Firenze, 1365 ca.

Ecco perché non è ridondante chiedersi che cosa abbia ancora da dirci il Natale.

Una delle risposte più sorprendenti in tal senso viene da Meister Eckhart. In uno dei suoi sermoni, infatti, egli sostiene: «Egli mi genera come suo Figlio. […].. Io e Dio siamo uno» [1]. Una tale coincidenza lascia esterrefatti: com’è possibile che io possa essere uno con Dio?

Secondo il teologo tedesco, è quando l’anima compie un percorso di liberazione dalla propria egoità, quando cioè essa si svuota dalla pretesa di essere misura di tutte le cose, che si realizza quella similitudine che consente – ogni volta e sempre di nuovo – all’evento della nascita di compiersi all’interno della coscienza del credente, nell’incavo creato dallo svuotamento di sé. L’interiorità diviene così una nuova grotta in grado di ospitare il mistero incarnato. Il Natale, dunque, è avvento compiuto in noi; presenza viva, Verbo che si fa carne, la nostra.

Da quel momento, la vita di ogni uomo è invitata a porsi in ascolto di quella estraneità interiore che ci abita come possibilità più propria dell’umano. Ecco, allora, che il Natale dipende da me, sempre che tale dipendenza non venga intesa al modo di una subordinazione alle pretese della soggettività, ma piuttosto come avvio della detronizzazione del proprio sé.

È proprio per questo che tra le tante immagini che accompagnano il Natale io ne sceglierei una che, a livello immediato, non cela la sua impertinenza. Mi riferisco alla Storia della Vera Croce di Piero della Francesca.

In essa si mostra una scena che si immagina accaduta in seguito al ritrovamento della croce di Cristo, riportata da Eraclio a Gerusalemme. Nella fila dei fedeli che assistono, rapiti, alla scena, l’ultimo di loro, prima di cadere in ginocchio, con un gesto delle mani si toglie il copricapo. Egli abbandona ogni difesa, si scopre, rimane inerme di fronte al mistero. Essendo l’ultimo della fila, non c’è alcuna possibilità che il suo gesto sia fatto a beneficio della vista degli altri, ognuno dei quali guarda in avanti, alla Croce ritrovata. Nessuno, dunque, può vederlo. Tuttavia, è proprio in quel momento che egli, liberato da ogni sovrastruttura, comincia a vedere il suo vero sé.

È in quello spazio interiore, finalmente riscoperto, che il Natale può avvenire. Ecco perché, come ha significativamente scritto José Tolentino Mendonça, «Ogni uomo è il presepio in cui Dio nasce» [2].

Note

[1] Meister Eckhart, I Sermoni, a cura di Marco Vannini, Paoline, Milano 2002, pp. 133 e135

[2] José Tolentino Mendonça, “Il vero presepio è dentro di noi”, Avvenire, 23 dicembre 2022

 

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