Estratto dalla Introduzione del libro La spina nella carne
– “Da piccolo, uccidevi le lucertole?”.
Durante gli anni Ottanta, questa domanda era piuttosto frequente per chi decidesse di aderire al servizio civile come obiettore di coscienza. La procedura prevedeva, infatti, un colloquio con le forze dell’ordine per accertare la predisposizione non violenta dell’aspirante obiettore. Arrivato il mio turno, mi fu posta esattamente questa domanda. Considerando che generalmente l’altra domanda d’ufficio era: “Come reagiresti se, in tua presenza, la tua ragazza venisse violentata?”, direi che non mi andò male. Di fronte a domande così estreme, inutile negarlo, si rimane senza parole.
Questa difficoltà, simile ad uno stordimento, viene spesso interpretata come segno di incoerenza nelle proprie convinzioni. In realtà, è praticamente impossibile rispondere correttamente finché si rimane all’interno della cornice di pensiero da cui quelle domande scaturiscono. Per questo, esse rappresentano una sorta di trappola cognitiva e costringono l’interlocutore a scegliere tra risposte che sembrano contraddire i propri principi morali fondamentali, spingendo verso una decisione sotto pressione che può non riflettere accuratamente le convinzioni personali o le reazioni abituali. Il dilemma etico forzato in cui ci si trova costretti funziona limitando intenzionalmente lo spettro delle possibili risposte, riducendo le opzioni a scelte binarie estreme, entrambe insoddisfacenti. In questo genere di approccio, si rischia di creare una distorsione, in cui la reazione a una situazione estrema viene presa come indicativa della condotta quotidiana, ignorando la complessità delle decisioni morali che le persone devono prendere nella vita reale. Inoltre, questo modo di procedere può indurre una reazione difensiva, che può allontanare ulteriormente le risposte dalla sincerità e dall’autenticità, compromettendo l’obiettivo stesso del colloquio.
Oggi mi trovo spesso in situazioni simili quando, dopo aver discusso le potenzialità inespresse del dialogo, ciò che in questo libro chiamerò “dialogetica”, mi viene chiesto di applicare immediatamente questi concetti ai conflitti in corso. In buona fede, l’interlocutore spera così di assistere al miracolo di una rapida risoluzione di controversie che magari si trascinano da molti anni.
Tuttavia, come nel dialogo con le forze dell’ordine, l’assenza di una risposta risolutiva più che altro segnala l’inadeguatezza di un approccio che tenta di risolvere i conflitti che risultino dalla adozione di modelli di comunicazione obsoleti mediante un paradigma nuovo, un po’ come se si cercasse di suonare musica classica con uno strumento elettronico moderno.
Dobbiamo allora concludere che la dialogetica non è in grado di orientarsi nelle pratiche perché rimane solo al livello dei principi generali? No, è l’esatto contrario. La dialogetica scaturisce dal fallimento dei tradizionali approcci e da una risemantizzazione dell’efficacia, cioè una riqualificazione del dialogo come strumento non solo per negoziare ma per trasformare radicalmente le dinamiche comunicative. La dialogetica, dunque, non si limita a gestire situazioni di crisi o a placare conflitti con soluzioni rapide e superficiali; piuttosto, mira a ristrutturare le fondamenta stesse del modo in cui comunichiamo, promuovendo una comprensione reciproca tra le parti. La sua efficacia non deve essere misurata solo attraverso risultati immediati, secondo le aspettative più tradizionali, ma piuttosto attraverso un cambiamento graduale nella percezione, nell’atteggiamento e nell’approccio ai conflitti.
La dialogetica è, dunque, un processo a lungo termine che richiede pazienza, dedizione e un impegno costante per vedere oltre le apparenti impasse. Con il tempo, questo approccio può non solo risolvere ma prevenire conflitti, facilitando un ambiente di dialogo costruttivo resistente alle sfide future.
Ciò che si può già anticipare è che la dialogetica richiede, ed al tempo stesso provoca, una svolta antropologica nella nostra percezione del sé e dell’altro. Tale svolta inizia con un accurato esame interiore, quel tipo di conoscenza profonda di sé stessi che è fondamentale per ogni forma di comunicazione autentica. Solo attraverso un’introspezione sincera possiamo infatti sperare di comprendere le nostre motivazioni, i nostri pregiudizi e le nostre emozioni, elementi che inevitabilmente influenzano il modo in cui interagiamo con gli altri.
In questo contesto, la dialogetica diventa uno strumento di trasformazione personale e interpersonale. Essa ci sfida a superare la superficie delle parole e dei gesti per raggiungere un livello di comunicazione più significativo e genuino. Tale processo non solo migliora la nostra capacità di gestire i conflitti, ma anche di costruire relazioni soddisfacenti. Per esempio, quando comprendiamo le origini delle nostre reazioni emotive, possiamo imparare a moderarle e a rispondere in modi che rispettino e valorizzino le prospettive altrui. Tale comprensione di sé ci permette di ascoltare veramente, non solo le parole che vengono dette, ma anche quelle non dette, gli indizi non verbali e le emozioni sottostanti che spesso guidano il comportamento umano.

Coltivare un’autentica cultura del dialogo esige, dunque, un impegnativo lavoro di scavo interiore, volto a portare alla luce e a mettere in discussione i pregiudizi e le precomprensioni che, spesso inconsapevolmente, plasmano il nostro sguardo sulla realtà e sugli altri. Si tratta di un processo di autoesame che può suscitare resistenze e timori, poiché mette in crisi le certezze consolidate, esponendo la fragilità e la parzialità delle nostre prospettive. Solo attraversando le strettoie dell’autocritica diventa possibile aprirsi autenticamente all’altro e costruire insieme orizzonti di senso e di azione condivisi, capaci di trascendere le divisioni e di generare nuove possibilità di convivenza e di collaborazione.
Per questo insieme di ragioni, per raggiungere l’obiettivo di riflettere sul dialogo, questo libro non mette a tema solo il dialogo, ma prima di tutto noi stessi, come siamo fatti. Se vogliamo veramente dialogare dobbiamo impegnarci a capire chi veramente siamo e riconoscere i nostri limiti.
L’antropologia filosofica ci guida in questo percorso, esplorando le dimensioni più intime dell’essere umano, il suo comportamento, i suoi valori e la sua cultura. È questa disciplina che ci spiega non solo chi siamo, ma anche come evolviamo e interagiamo nel nostro ambiente, fornendoci gli strumenti per comprendere meglio noi stessi e gli altri.
Parallelamente, la comunicazione, tradizionalmente incentrata sul dialogo, si rivela essenziale per applicare queste comprensioni nel mondo esterno. Non si tratta solo di trasmettere informazioni, ma di creare connessioni significative che possono trasformare le percezioni e influenzare positivamente le nostre relazioni.
Insieme, antropologia filosofica e comunicazione creano un ponte tra la conoscenza di sé e l’interazione efficace, facilitando un dialogo che non è solo lo scambio di parole, ma un vero e proprio scambio di essenze e idee.
In questo libro ho optato per un approccio sobrio nell’uso di note a piè di pagina e riferimenti bibliografici, benché il mio debito sia grande nei confronti degli studiosi che si sono occupati di questi temi. I modelli e i paradigmi che analizzeremo potrebbero sembrare concetti astratti, lontani dalla nostra quotidianità, ma in realtà sono gli strumenti che ci permettono di capire perché, a volte, le nostre interazioni non vanno come vorremmo. Non si tratta di un mero esercizio teorico, ma di un tentativo di gettare luce sulle radici di questa sensazione di incomprensione reciproca che tutti, prima o poi, abbiamo provato. Credo che i prontuari, pur non essendo del tutto inutili dato che ci mostrano come possiamo intervenire sulla realtà per modificarla, siano tuttavia inefficaci perché non affrontano la vera fonte della comunicazione: l’essere umano nella sua unicità. È questa la specificità del percorso che propongo in questo libro: collegare il dialogo con l’umano, riconoscendo che ogni persona porta con sé un bagaglio unico di esperienze, emozioni e prospettive.
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