Questo desiderio di vedere Dio, che è l’anelito di ogni uomo in quanto religioso, è anche il principio di ogni aberrazione religiosa. Cioè, tutta la tentazione di darsi degli idoli nasce dal desiderio di vedere Dio, di possederlo, di averlo. Intendo questi idoli non tanto nel senso di perversione morale (adorare le proprie passioni), ma nel senso di costringere finalmente nelle proprie mani la presenza di Dio. Di qui anche la frenesia di assolutizzare i valori in maniera da avere qualcosa di assoluto tra le mani. Qui le tentazioni perenni nell’umanità, che dovremmo però considerare non negli altri, ma in noi, in quanto sono presenti in noi stessi.
Da una parte, per gli uomini attivi, tesi all’azione, tentazioni di tipo messianico di crearsi degli assoluti, di tendere verso ideali assoluti; tipici messianismi del mondo occidentale, farsi degli ideali assoluti: giustizia, libertà, liberazione, pace. All’opposto, nel mondo orientale e in un altro tipo di persone, ma sempre come aberrazione del fondamentale desiderio di vedere Dio, tentazioni di panteismo, che è forse la tentazione più raffinata dell’uomo religioso, cioè di sacralizzare tutto, di vivere con sacro rispetto in un mondo divino, perché allora Dio è tutto, è toccato continuamente, vi sono immerso. Queste due tentazioni suggerisco di analizzarle in noi, non sociologicamente o nella storia, perché tutti le abbiamo, in quanto abbiamo delle tendenze di carattere assoluto, che si esprimono, talora si toccano, per esempio in una forma di pan-umanesimo: l’uomo, questo Dio che si vede, l’unico che si può vedere è l’uomo, siamo noi. E allora siamo noi l’assoluto.
L’inquietudine di vedere il volto di Dio è dunque la molla continua, il motore, che muove tutte le forme di assolutizzazione, sia messianica, sia panteistica, in tutte le loro varietà che, come dicevo, ciascuno di noi dovrebbe imparare a riconoscere in se stesso.
Carlo Maria Martini, Gli esercizi ignaziani alla luce del Vangelo di Giovanni in Le ragioni del credere, Mondadori 2011, pp. 401-402.