
Per me l’universo – il nostro mondo e quel che sappiamo di esso – è l’aggregato di tutte le esperienze dell’umanità di tutti i tempi, esperienze fissate e comunicate costantemente. R. Fuller Buckminster
Questo pensiero riposa sulla validità del presupposto di una comunicazione funzionale, nel caso specifico ‘funzionale alla trasmissione del sapere e delle esperienze così come esse sono venute accumulandosi’.
Tuttavia, sappiamo anche che tante e diverse sono le situazioni in cui la comunicazione non c’è o, se c’è, non funziona in modo adeguato.
La comunicazione, infatti, non è una cosa che possa essere considerata pre-esistente come un dato amorfo e costante. Essa è, piuttosto, un “wesen”, un essere vivente e, come tale, risente di tutte le influenze e le perturbazioni possibili.
Accade spesso, purtroppo, che il comunicare sia inteso come qualcosa di presupposto ed immutabile e che dunque si guardi oltre, occupandosi di altro. Distogliere l’attenzione da ciò che rende possibile una comunicazione e, nello specifico, una comunicazione autentica è deleterio perché non ci permette di mettere a tema, cioè di concentrarci, sui fattori che inverano – rendono vero, concreto – ciò che ci spinge a raggiungere gli altri dal punto di vista comunicativo.
E così, ciò che dovrebbe essere un’occasione di effrazione della propria monotonia si trasforma in una occasione persa in cui ogni monologia è semplicemente reiterata.
Pensateci: che cosa sono le comunicazioni fasulle se non mere reiterazioni dell’identico, di ciò che già si sa? Che cosa sono, ancora, se non manifestazioni della sola presenza di sé, elevata a contenuto, ritenuto degno di essere conosciuto?
L’universo di cui parla Fuller Buckminster è non tanto un cumulo di esperienze, ma il luogo d’elezione in cui apportare la novità di ciò che siamo. È questo ciò che ci può rendere più umani e meno anonimi e che, forse, sarà ricordato quando in quello stesso universo saremo altro rispetto a ciò che siamo ora.