Molta gente trascorre la propria esistenza all’insegna della mancanza del senso. Non solo non si è trovato un senso per cui valga la pena vivere, ma si è smarrito lo stesso senso del senso. Talvolta, in simili situazioni, si tende ad isolarsi, a rinchiudersi nel proprio lavoro (quando c’è!) e nel considerare prevalentemente se stessi, disinteressandosi a quanto accade al di fuori della propria ristretta cerchia.
L’inizio di un nuovo anno può essere l’occasione per fare il punto sulla propria esistenza.
Quando si pensa ad una vita significativa, alcuni sono portati a credere che essa corrisponda ad avere molto denaro. Uno studio del 2014 di Oishi e Diener ha rilevato l’esistenza di un tasso di suicidi significativamente più alto tra le popolazioni dei paesi più ricchi (Stati Uniti e Svezia) rispetto ai paesi poveri come Togo e Sierra Leone. Lo studio ha inoltre scoperto che quasi un quarto degli intervistati non sapesse dire in che cosa consistesse una vita piena di senso.
Capito l’antifona? E noi, sapremmo dire in che cosa consiste una vita dotata di senso?
Se il senso fosse una ricetta vi sarebbero probabilmente quattro ingredienti di cui non si potrebbe fare a meno. Il primo ingrediente è costituito dalle relazioni.
È vero che oggi siamo molto più connessi gli uni agli altri di quanto non accadesse nel passato. Tuttavia, una tale intensità di connessioni difficilmente si converte in un incremento della loro qualità. Si tratta molto semplicemente di una conseguenza della massiccia adozione degli smarthpone che rendono possibile una operazione che rimane pressoché virtuale. Siamo connessi, ma isolati. Gli studiosi hanno oggi chiaramente riconosciuto che una solitudine cronica può compromettere il sistema immunitario. Concentrandosi sulla nostra relazione con gli altri, si può iniziare a rendere più significative le nostre vite.

Il secondo ingrediente è l’avere uno scopo fondamentale. A scanso di equivoci, non si tratta di perseguire un qualcosa che accresca il nostro potere e potenzi noi stessi. Lo scopo fondamentale è un obiettivo a lungo termine che implica un qualche contributo al mondo più vasto in cui noi siamo inseriti. Per far questo, a volte è sufficiente iniziare a porsi la domanda: in che modo con il mio lavoro contribuisco al benessere degli altri? Posso fare di più e meglio ciò che normalmente svolgo? Si tratta di domande semplici, che però hanno molte implicazioni. Quando noi iniziamo a considerare come con la nostra consueta attività possiamo essere al servizio di uno scopo fondamentale che va oltre noi stessi allora la nostra stessa vita comincia a diventare più dotata di senso.
Il terzo ingrediente è costituito dalle identità narrative. Tutti noi siamo in grado di raccontarci delle storie, connettendo i più significativi eventi della nostra vita. Secondo molti studiosi, questa possibilità è ciò che ci connota come esseri umani. Lo è tal punto che se dovessimo farne a meno perderemmo una parte significativa di noi stessi. Le persone anziane, per esempio, in continuazione richiamano alla memoria episodi del passato, proprio nel tentativo di rendere significativo il loro presente. Per rendere ancor più significative le nostre identità narrative è auspicabile riflettere sul modo in cui un importante evento ci ha modellati. Si tratta di un processo noto come “pensare controfattuale”. Per esempio, noi proviamo a chiederci “che cosa mi sarebbe successo se non avessi compiuto quella determinata azione?”. Il pensiero controfattuale può farci apprezzare i benefici di una scelta proprio nel momento in cui siamo indotti a pensare a che cosa sarebbe successo se non l’avessimo compiuta. Lo studioso Dan McAdam ha scoperto che coloro che sono in grado di raccontare storie in cui si registri una transizione dal male al bene spesso tendono a vivere vite più significative rispetto agli altri.
Il quarto ed ultimo ingrediente è ciò che potremmo indicare come meditazione. A nessuno sfugge come questo termine sia carico di moltissimi significati. Questa sua polivalenza non deve tuttavia spaventare. In parole semplici, esso fa riferimento al fatto che non tutto può essere ridotto alla nostra misura e che ci sono delle dimensioni che sfuggono al nostro controllo.
Per esempio, quante volte ci è successo di ammirare il cielo di notte e di renderci conto che siamo una parte minuscola di quello spettacolo? Ecco, in quel caso, abbiamo fatto l’esperienza della meditazione. Diversi studiosi hanno studiato che cosa succeda alla mente umana quando si attraversano i cosiddetti “transcendent states of mind”. In quei momenti, la persona perde ogni senso di ansietà, si sente in completa pace, sperimenta che le barriere tra noi stessi ed il mondo che ci circonda tendono ad attenuarsi. La meditazione ci aiuta a liberarci dal peso della immanenza fusionale, il nostro essere così immersi nelle vicende quotidiane da non rendersi conto dell’esistenza di altre dimensioni.
Raggiungere una vita piena di senso è possibile. Lasciandosi alle spalle la work-and-spend mentality, attraverso il ritorno alle relazioni, lo scopo fondamentale, l’identità narrativa e la meditazione possiamo trovare la nostra strada. Auguri!
Credo di aver fatto della meditazione leggendo questo articolo. Ti ringrazio molto per averlo condiviso. Un riassunto fantastico e significativo. Non ho potuto non condividerlo. Grazie ancora 🙂
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Grazie per la Tua testimonianza. A presto!
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Mi sembra un modo molto “fresco” per affrontare il tema del “senso”: laico nell’impostazione e memore di tutto un cammino filosofico, fino al “postmoderno”. Due punti considero cruciali: ricostruire la domanda sul senso (il “senso del senso”) e ripensare la rilevanza di orientamenti (“scopi fondamentali”) capaci di superare la semplice affermazione di se stessi e di ricucire azioni ed esperienze altrimenti destinate alla frammentarietà.
Il grande problema che vedo è racchiuso nel presupposto stesso dell’intera “ricetta” che attinge ad una riserva di idealità (credere nella possibilità di relazioni ricche, darsi scopi che superino la propria individualità, riconoscere il bene che è derivato da una scelta…) sempre più difficile da “fondare”, proporre e condividere.
Grazie per questo articolo bello e stimolante. Buona giornata.
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Grazie, Rossana, per il suo commento che spinge a pensare l’impensato, la stessa scaturigine del senso. Debbo confessarle che è proprio quel “luogo” che mi lascia inquieto e non dà sosta al pensare. Sono fiducioso che qualche ‘scintilla’ possa scaturire proprio dal dialogo, tanto più autentico quanto più condotto con coloro che condividono lo stesso cercare. Grazie, dunque, per essere compagna sulle vie del senso.
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