
L’esatta interpretazione di una comunicazione, sia essa di tipo verbale o non-verbale, non può esser data per scontata. Si prenda il caso di Arturo, un marito frustrato per il fatto che la moglie Elisa rientri a casa sempre tardi. Una sera, dopo l’ennesimo ritardo, al varcare la porta di casa, le urla in faccia “Che cosa ti sei messa in testa?! Stai trascorrendo troppo tempo a lavoro!”. Dalle sue parole, la donna capisce che il marito è preoccupato perché pensa che lei stia lavorando troppo. E così, la settimana seguente, annuncia trionfale al marito che si è appena iscritta in palestra dove si recherà tre volte a settimana, dopo essere uscita dall’ufficio. Questo risultato, ovviamente, non è ciò che il marito si aspettava di ottenere.
Non possiamo negare che Elisa sembri poco sintonizzata sulle richieste del marito, ma è pur vero che proprio Arturo avrebbe potuto formulare meglio la sua richiesta.
In effetti, il problema è scaturito esattamente dalla prima sollecitazione di Arturo che risultava espressa in termini negativi. L’uomo avrebbe semplicemente potuto dire alla moglie “vorrei che tu trascorressi più tempo con me”, invece di lamentarsi per il fatto che trascorresse troppo tempo in ufficio. Se avesse agito in tal modo, avrebbe probabilmente contribuito ad evitare che si ingenerasse un equivoco di tipo comunicativo.
Il nostro comunicare, dunque, per tener conto il più esattamente possibile dell’altro, deve essere il più positivo possibile. Un linguaggio è positivo quando si chiede che qualcosa venga fatto. È negativo quando si chiede di interrompere di fare qualcosa. Più un linguaggio è positivo, più le possibilità di capirsi aumentano. Se vogliamo essere compresi dagli altri, dobbiamo esprimerci nel modo più diretto possibile. Più diretti siamo circa i nostri bisogni, più facile sarà per gli altri venire incontro ai nostri bisogni.
[I due ritratti sono parte del progetto Misunderstading Focus dei fotografi Yoshihisa Tanaka e Ryuta Liada]