
“Il fantastico è l’esitazione provata da un essere il quale conosce soltanto le leggi naturali, di fronte ad un avvenimento apparentemente soprannaturale… La fede assoluta come l’incredulità totale, ci condurrebbe fuori dal fantastico; è l’esitazione a dargli vita” (Todorov).
In genere, l’esitazione viene vista come una malattia da sanare. Non nascondo che essa è irritante, soprattutto se è una stazione definitiva in cui alcuni indulgono. E tuttavia, deve poter esistere una soglia che consegna all’“essere esitante” il dono di guardare oltre il dominio di ciò che è scontato, quel regime in cui tradizionalmente conduciamo le nostre esistenze.
Essere fin troppo saldi, emblema della fede assoluta (in un credo religioso, una filosofia, una ideologia), rischia di non farci spiccare il volo verso ciò che veramente vale. Ragionare con chi ha i piedi fin troppo piantati nel terreno, infatti, oltre che estenuante, è inutile, perché l’unico risultato atteso è che rinunciamo a noi stessi.
Guardare oltre l’ordinario presuppone l’incertezza di chi sta su un piede solo, facendo di quella condizione non il luogo di una deprivazione, ma il salto verso una terra nuova.